Ricerca sulla potenziale mutazione genetica vaccinale

 Mi interessa capire come un vaccino possa indurre una mutazione genetica.


Semplice: I vaccini a mRNA sfruttano l’infrastruttura delle nostre cellule per produrre gli antigeni necessari per addestrare il sistema immunitario alla immediata e massiccia reazione e alla conseguente auspicata uccisione di questi virus (tuttora rimasti indefiniti poiché mutevoli), tramite l’inoculazione di nuovi vettori virali artificiali di tipo GRAd23 o altri adenovirus, o virus di altro tipo, resi difettivi per la replicazione, che codificano l’intera proteina Spike di SARS-CoV-2 ( e non di Sars Cov id 19 perché appunto è mutante e ne esistono già 3000 varianti che nessuno saprebbe come includere nella formulazione).

Il ragionamento che conferma la mutazione genetica possa essere messa in atto dall’inoculazione di questi pseudovaccinoidi derivazione bioingegneristica a mRNA, è molto semplice. 

« Se attacchi le mie proteine DNA, con vettori mRNA sintetici, tu modifichi comunque la mia genetica perché ne hai cambiato il codice genomico. » Infatti:

"Il DNA viene parzialmente srotolato a opera dell'RNA polimerasi e funge da stampo per la sintesi di RNA. Al termine del processo, il trascritto di RNA si allontana dal DNA, permettendo ai due filamenti del DNA di riavvolgersi a formare la doppia elica."


Approfondimenti?


La questione genetica

Nell'uomo il genitore conferisce i geni al figlio. I geni umani sono serie di nucleotidi di DNA e RNA di matrice genomica dell’homo sapiens, ordinati secondo un diverso codice originale e univoco che determina la differenza tra individuo e individuo.

In ciascun individuo l'organismo detiene anche un sistema immunitario differente secondo il differente carattere genetico individuale, che differisce sempre da individuo a individuo.

Il vaccino in origine era un prodotto di derivazione o estrazione vaccina, (Vaiolo delle vacche), e  in seguito il termine é stato usato per definire qualsiasi preparato anti virale o anti batterico  epocale come il v. per la il vaiolo, la tubercolosi (tbc), la poliomielite, il tetano , la varicella, la rosolia, ecc. o stagionale come il v. contro le influenze da Cov1, Cov2, ecc. (Sars, mers, ecc.), da somministrare annualmente agli interessati alla profilassi preventiva, oppure agli obbligati per legge.

Gli ultimi pseudo vaccini, essendo prodotti di bioingegneria e non essendo più a derivazione prettamente naturale e specialmente vaccina, non avrebbero dovuto chiamarsi più così, ma il termine è stato mantenuto perchè era comodo per la collettività (popolo bue) e allora é stato mantenuto tale termine improprio (l’asino vuol legato dove vuole il medesimo), alla faccia della trasparenza comunicativa e della lotta contro la delinquenza (delinquere = deviare la lingua, il significato delle leggi e dei termini linguistici ufficiali).

Bene o male i precedenti pseudo vaccini funzionavano secondo la strategia alchemica originaria ovvero quella di indurre il sistema immunitario a reagire potentemente all'immissione di una certa quantità virale specifica contenuta negli stessi preparati,  in modo che tale reazione, prevalentemente febbrile, portasse via, con il semplice innalzamento della temperatura, la vitalità agli agenti patogeni virali di cui i pazienti erano contagiati.

Nella maggior parte dei casi ha funzionato: la provocazione febbrile ha determinato la guarigione degli individui, sia da batteri, che da virus.

I microorganismi batterici o i virus, mediante l’innalzamento febbrile della temperatura corporea, vengono inattivati o uccisi e come è noto, l’organismo espelle i residui con il ciclo diuretico ed essudativo, oppure li imprigiona nei linfonodi o nelle neoformazioni. 

Vediamo ora invece cosa succede.

La nuova strategia bioingegneristica é quella invece di agganciare i nostri acidi nucleici tramite nuove proteine  virali prodotte artificialmente in vitro, capaci di sposarsi con quelle presenti nei nostri stessi acidi nucleici.


In particolare

I VACCINI A VETTORE VIRALE

I vaccini a vettore virale, come Astrazeneca, Janssen e Sputnik, invece, agiscono in modo diverso: il farmaco, infatti, utilizza un virus, generalmente un adenovirus incompetente per la replicazione, per portare all’interno della cellula la sequenza del codice genetico che codifica per la proteina spike.

IL VACCINO ASTRAZENECA

Il vaccino Vaxzevria, conosciuto ai più con il nome di Astrazeneca, è composto da un adenovirus di scimpanzé incapace di replicarsi (ChAdOx1 – Chimpanzee Adenovirus Oxford 1) e modificato per veicolare l’informazione genetica destinata a produrre la proteina Spike del virus SARS-CoV-2.

L’efficacia del vaccino è di circa il 60%. Il farmaco, scrive l’Ema, ha “mostrato una riduzione del 59,5% nel numero di casi sintomatici di Covid-19 nelle persone a cui è stato somministrato il vaccino (64 su 5.258 hanno ricevuto Covid-19 con sintomi) rispetto alle persone a cui sono state somministrate iniezioni di controllo (154 su 5.210 hanno ricevuto Covid-19 con sintomi)”.

VACCINO JOHNSON & JOHNSON

Il vaccino di Johnson & Johnson, somministrato in singola dose, è composto da un vettore ricombinante, “basato su adenovirus umano di tipo 26 incompetente per la replicazione, che codifica per la sequenza completa della glicoproteina spike (S) di Sars-CoV-2 in una conformazione stabilizzata. Dopo la somministrazione, la glicoproteina S di Sars-CoV-2 viene espressa in maniera transitoria, stimolando sia anticorpi anti-S neutralizzanti che altri anticorpi specifici anti-S funzionali, così come risposte immunitarie cellulari dirette contro l’antigene S, che possono contribuire a proteggere contro Covid-19”, spiega l’Ema.

Durante la sperimentazione di fase 3 il vaccino ha dimostrato, scrive Ema annunciando l’approvazione all’uso, “una riduzione del 67% del numero di casi di Covid-19 sintomatici, dopo 2 settimane, nelle persone che hanno ricevuto il vaccino Covid-19 Janssen (116 casi Covid su 19.630 persone), rispetto alle persone a cui è stato somministrato placebo (348 casi su 19.691)”.

IL VACCINO DI REITHERA

La decisione della Commissione Ue, però, andrebbe a penalizzare anche il vaccino italiano di ReiThera. Il farmaco è costituito dal vettore virale GRAd23, reso difettivo per la replicazione, che codifica l’intera proteina Spike di SARS-CoV-2, come spiega la Regione Lazio.

Anche la francese Valneva, che ha messo a punto un vaccino a virus intero inattivato altamente purificato a base di cellule Vero, sarà penalizzata.

SANOFI ED IL VACCINO AD MRNA

Tra chi invece potrebbe rientrare a breve tra i fornitori dell’Ue c’è l’altra francese Sanofi, che ha deciso di adottare un doppio approccio nella lotta a Covid-19. Ha messo a punto un vaccino con Gsk, in fase 3 di sperimentazione, e ha messo a punto anche un vaccino ad mRna.

“I vaccini a mRNA sfruttano l’infrastruttura delle nostre cellule per produrre gli antigeni necessari per addestrare il sistema immunitario, e questo è un approccio davvero interessante, ma come con tutto ciò che è nuovo, e come con tutti i nuovi vaccini, staremo molto attenti a valutare la sicurezza “, ha detto Su-Peing Ng, Head of Medical presso Sanofi Pasteur.




Dispense per il ripasso terminologico


Chimica

Le proteine si possono collocarle al primo posto nel "mondo biologico" dato che, considerate le loro moltissime funzioni, non esisterebbe vita senza di loro.


L'analisi elementare delle proteine dà i seguenti valori medi: 55% di carbonio, 7% di idrogeno e 16 % di azoto; è chiaro che le proteine differiscono l'una dall'altra, ma la loro composizione elementare  media si discosta poco da i valori sopra indicati.

Costituzionalmente, le proteine sono macromolecole formate dagli α-amminoacidi naturali; gi amminoacidi si uniscono attraverso il legame ammidico che si stabilisce per reazione tra un gruppo amminico di un a-amminoacido ed il carbossile di un altro a-amminoacido.

Tale legame (-CO-NH-) è anche chiamato legame peptidico poiché lega dei peptidi (amminoacidi in combinazione):

quello ottenuto è un dipeptide perché è formato da due amminoacidi. Siccome un dipeptide contiene un gruppo amminico libero ad una estremità (NH2) ed un carbossile all'altra (COOH), può reagire con uno o più amminoacidi ed allungare la catena sia da destra che da sinistra, con la medesima reazione vista sopra.

La sequenza di reazioni (che, per altro, non sono in realtà così semplici) può continuare all'infinito: sino ad aversi un polimero detto polipeptide o proteina. La distinzione tra peptidi e proteine è legata al peso molecolare: usualmente per pesi molecolari superiori a 10.000 si parla di proteine.

Il legare insieme amminoacidi per ottenere proteine anche di piccole dimensioni è un'operazione difficile, benché recentemente sia stato messo a punto un metodo automatico di produzione di proteine da amminoacidi che dà ottimi risultati.

La proteina più semplice, quindi, è formata da 2 amminoacidi: per convenzione internazionale, la numerazione ordinata degli amminoacidi in una struttura proteica parte dall'amminoacido con il gruppo a-amminico libero.


Struttura

Le molecole proteiche sono conformate in modo da potervi intravedere fino a quattro distinte organizzazioni: si distinguono generalmente, una struttura primaria, una secondaria una terziaria ed una quaternaria.

Le strutture primaria e secondaria sono essenziali per le proteine, mentre la terziaria e la quaternaria sono "accessorie" (nel senso che non tutte le proteine possono esserne dotate).

 La struttura primaria è determinata dal numero, dal tipo e dalla sequenza degli amminoacidi nella catena proteica; bisogna quindi determinare la sequenza ordinata degli amminoacidi che costituiscono la proteina (conoscere ciò vuol dire conoscere l'esatta sequenza di basi del DNA che codificano per tale proteina) il che incontra difficoltà di ordine chimico non trascurabili.

E' stato possibile determinare la sequenza ordinata degli amminoacidi tramite la degradazione di Edman: la proteina viene fatta reagire con il fenilisotiocianato (FITC); inizialmente il doppietto dell'azoto α-amminico attacca il fenilisotiocianato formando il tiocarbamil derivato; successivamente, il prodotto ottenuto ciclizza dando il feniltioidantoin derivato che è fluorescente.

Edman ha ideato una macchina detta sequenziatore che regola automaticamente i parametri  (tempo, reagenti, pH ecc.) per la degradazione e fornisce la struttura primaria  delle proteine (per questo ha ricevuto il premio Nobel).

La struttura primaria non è sufficiente ad interpretare completamente le proprietà delle molecole proteiche; si ritiene che tali proprietà dipendano, in modo essenziale, dalla configurazione spaziale che le molecole delle proteine tendono ad assumere, piegandosi in vario modo: cioè assumendo quella che è stata definita struttura secondaria delle proteine.

La struttura secondaria delle proteine è termolabile, cioè tende a disfarsi per riscaldamento; allora le proteine si denaturano perdendo molte delle loro caratteristiche proprietà. Oltre che da riscaldamento superiore a 70 °C, la denaturazione può essere provocata anche da irradiazioni o dall'azione di reattivi (da acidi forti ad esempio).

 La denaturazione delle proteine per effetto termico si osserva, ad esempio, scaldando l'albume dell'uovo: lo si vede perdere il suo aspetto gelatinoso e trasformarsi in una sostanza bianca insolubile. Comunque, la denaturazione delle proteine porta a distruzione della loro struttura secondaria, ma ne lascia inalterata la struttura primaria (la concatenazione dei vari amminoacidi).

Le proteine assumono la struttura terziaria quando la loro catena, pur sempre flessibile nonostante la piegatura della struttura secondaria, si ripiega in modo da originare  una contorta disposizione tridimensionale a forma di corpo solido. Responsabili della struttura terziaria sono soprattutto i legami disolfuro che si possono stabilire tra gli -SH cisteinici disseminati lungo la molecola.

La struttura quaternaria, invece, compete solo alle proteine formate da  due o più subunità. L'emoglobina, ad esempio, è composta da due coppie di proteine (cioè in tutto da quattro catene proteiche) situate ai vertici di un tetraedro in maniera da dar luogo  ad una struttura di sagoma sferica; le quattro catene proteiche sono tenute insieme da forze ioniche e non da legami covalenti.

Altro esempio di struttura quaternaria è quello dell'insulina, che appare costituita da ben sei subunità proteiche disposte a coppie ai vertici di un triangolo al cui centro stanziano due atomi di zinco.


Proteine fibrose

Sono proteine dotate di una certa rigidità ed aventi un asse molto più lungo dell'altro; la proteina fibrosa presente in maggior quantità in natura è il collagene (o collageno).

Una proteina fibrosa può assumere diverse strutture secondarie: α-elica, β-foglietto e, nel caso del collagene, tripla elica; α-elica è la struttura più stabile, seguita dalla β-foglietto, mentre la meno stabile delle tre è la tripla elica.



Α-elica

L'elica si dice di mano destra se, seguendo lo scheletro principale (orientato dal basso verso l'alto), si effettua un movimento analogo all'avvitamento di una vite destrorsa; mentre l'elica è di mano sinistra se il movimento è analogo all'avvitamento di una vite sinistrorsa. Nelle α-eliche di mano destra i sostituenti -R degli amminoacidi sono perpendicolari all'asse principale della proteina e sono rivolti verso l'esterno, mentre nelle a-eliche di mano sinistra i sostituenti -R sono rivolti verso l'interno. Le a-eliche di mano destra sono più stabili di quelle di mano sinistra perché tra i vati -R c'è minore interazione e minore ingombro sterico. Tutte le α-elica trovate nelle proteine sono destrogire.

La struttura dell'α-elica è stabilizzata dai legami a idrogeno (ponti a idrogeno) che si forma tra il gruppo carbossile (-C=O) di ogni amminoacido ed il gruppo amminico (-N-H) che si trova quattro residui più avanti nella sequenza lineare.
Un esempio di una proteina avente struttura ad α-elica è la cheratina dei capelli.


Β-foglietto

Nella struttura a β-foglietto si possono formare dei legami a idrogeno tra amminoacidi appartenenti a catene polipeptidiche differenti ma tra loro parallele oppure tra amminoacidi di una stessa proteina anche numericamente lontani tra loro ma che scorrono in direzioni antiparallele. Comunque i legami a idrogeno sono più deboli di quelli che stabilizzano la forma α-elica.
Un esempio di struttura  β-foglietto è la fibrina della seta (c'è anche nelle ragnatele).
Allungando la struttura ad α-elica si effettua la transizione da α-elica a β-foglietto; anche il calore o la sollecitazione meccanica permettono di passare dalla struttura α-elica a quella β-foglietto.
Solitamente, in una proteina, le strutture β-foglietto sono tra loro vicine perché si possono instaurare legami a idrogeno intercatena tra le porzioni della proteina stessa.



Nelle proteine fibrose la maggior parte della struttura proteica è organizzata ad α-elica o a β-foglietto.

Proteine globulari

Hanno una struttura spaziale pressoché sferica (dovuta ai numerosi cambiamenti di direzione della catena polipeptidica); alcune porzioni di essere possono essere riconducibili ad una struttura ad α-elica o a β-foglietto ed altre porzioni non sono, invece riconducibili a tali forme: la disposizione non è casuale ma organizzata e ripetitiva.

Le proteine cui si è fatto riferimento sino ad ora, sono sostanze di costituzione tutta omogenea: cioè pure sequenze di amminoacidi combinati; tali proteine si dicono semplici; vi sono proteine costituite da una parte proteica e da una parte non proteica (gruppo prostatico) dette proteine coniugate.

Collagene

E' la proteina più abbondante in natura: è presente nelle ossa, nelle unghie, nella cornea e nel cristallino dell'occhio, tra gli spazi interstiziali di alcuni organi (es. fegato) ecc.

La sua struttura gli conferisce particolari capacità meccaniche; ha grande resistenza meccanica associata a elevata elasticità  (es. nei tendini) oppure elevata rigidità (es. nelle ossa) a seconda della funzione che deve svolgere.

Una delle proprietà più curiose del collagene è la sua semplicità costitutiva: è formato per circa il 30% da prolina e per circa il 30% da glicina; gli altri 18 amminoacidi si devono spartire solamente il restante 40% della struttura proteica. La sequenza amminoacidica del collagene è notevolmente regolare: ogni tre residui, il terzo è di glicina.

La prolina è un amminoacido ciclico in cui il gruppo R si lega all'azoto α-amminico e ciò conferisce una certa rigidità.
La struttura finale è una catena ripetitiva avente la forma di un'elica; all'interno della catena di collageno, sono assenti legami a idrogeno. Il collagene è un'elica di mano sinistra con passo (lunghezza corrispondente ad un giro dell'elica) maggiore rispetto all'α-elica; l'elica del collagene è talmente lasca che tre catene proteiche riescono ad avvolgersi tra di loro formando un'unica corda: struttura a tripla elica.

La tripla elica del collagene è, comunque, meno stabile sia della struttura ad α-elica che di quella  β-foglietto.

Vediamo ora il meccanismo con il quale si produce il collagene; consideriamo, ad esempio, la rottura di un vaso sanguigno: tale rottura è accompagnata da una miriade di segnali con lo scopo di chiudere il vaso , quindi formare il coagulo.

La coagulazione richiede almeno trenta enzimi specializzati. Dopo il coagulo si deve proseguire con la riparazione del tessuto; le cellule vicine alla ferita producono anche collagene. Per far ciò, per prima cosa viene indotta  l'espressione di un gene cioè entrano in funzione organismi che partendo dall'informazione di un gene, sono in grado di produrre la proteina (l'informazione genetica viene trascritta sull'mRNA il quale esce dal nucleo e raggiunge i ribosomi nel citoplasma dove l'informazione genetica viene tradotta in proteina). Quindi il collagene viene sintetizzato nei ribosomi (si presenta come un'elica di mano sinistra composta da circa 1200 amminoacidi e avente un peso molecolare di circa 150000 d) e poi si accumula nei lumi  dove diventa substrato per enzimi in grado di operare delle modificazioni post-traduzionali  (modificazioni del linguaggio tradotto dall'mRNA); nel collagene, tali modificazioni consistono nell'ossidrilazione di alcune catene laterali soprattutto di prolina e di lisina.

Il mancato funzionamento degli enzimi che portano a queste modificazioni, provoca lo scorbuto: è una malattia che causa, inizialmente la rottura dei vasi sanguigni, rottura dei denti a cui possono seguire emorragie interintestinali e la morte; può essere provocato dal continuo utilizzo di cibo a lunga conservazione.

Successivamente, per azione di altri enzimi, si verificano altre modificazioni che consistono nella glicosidazione dei gruppi ossidrili di prolina e lisina (all'ossigeno dell'OH si lega uno zucchero); tali enzimi si trovano in zone diverse dal lume perciò, la proteina, mentre subisce le modificazioni, migra all'interno del reticolo endoplasmatico per finire in sacche (vescicole) che si richiudono su se stesse e si staccano dal reticolo: al loro interno è contenuto il monomero del pro-collagene glicosidato; quest'ultimo raggiunge l'apparato del Golgi dove particolari enzimi riconoscono la cisteina presente nella parte carbossi terminale del pro-collagene glicosidato  e fanno sì che le diverse catene si avvicinino tra loro e formino dei ponti disolfuro: si ottengono così tre catene di pro-collagene glicosidato legate tra loro ed è questo il punto di partenza del quale le tre catene, compenetrando, poi, spontaneamente, danno origine alla tripla elica. Le tre catene di pro-collagene glicossidato legate tra loro raggiungono, poi una vescicola che, strozzandosi su se stessa, si stacca dall'apparato del Golgi trasportando le tre catene  verso la periferia della cellula dove, tramite la fusione con la membrana plasmatica, il trimetro viene espulso dalla cellula.

Nello spazio extra cellulare, ci sono particolari enzimi, i pro-collageno peptidasi, che tolgono dalla specie espulsa dalla cellula, tre frammenti (uno per ogni elica) di 300 amminoacidi l'uno, dalla parte carbossi terminale e tre frammenti (uno per ogni elica) di circa 100 amminoacidi l'uno, dalla parte amminoterminale: rimane una tripla elica costituita da circa 800 amminoacidi per elica nota come tropocollagene.

Il tropocollagene ha l'aspetto di un bastoncino abbastanza rigido; i diversi trimeri si associano con legami covalenti per dare strutture più grosse: le microfibrille.  Nelle microfibrille, i vari trimeri sono disposti in  modo sfalzato; tante microfibrille costituiscono fasci di tropocollageno.

Nelle ossa, tra le fibre di collageno, vi sono degli spazi interstiziali in cui si depositano solfati e fosfati di calcio e magnesio: tali sali ricoprono anche tutte le fibre; ciò rende le ossa rigide.

Nei tendini, gli spazi interstiziali sono meno ricchi di cristalli rispetto alle ossa mentre sono presenti proteine più piccole rispetto al tropocollagene: ciò conferisce elasticità ai tendini.

L'osteoporosi è una malattia causata da una carenza di calcio e magnesio che rende impossibile fissare i sali nelle zone interstiziali delle fibre di tropocollageno.

Genoma umano


  

In una cellula (esclusi alcuni tipi particolari mancanti del nucleo, ed i gameti che hanno la metà del DNA nucleare) vi sono normalmente 23 coppie di cromosomi (46 in totale), ognuno dei quali contiene centinaia di geni separati da regioni intergeniche. Le regioni intergeniche possono contenere sequenze regolatrici e DNA non codificante.

Il genoma umano è la sequenza completa di nucleotidi che compone il patrimonio genetico dell'Homo sapiens, comprendente il DNA nucleare e il DNA mitocondriale.

Ha un corredo approssimativamente di 3,2 miliardi di paia di basi di DNA contenenti all'incirca 20 000 geni codificanti per proteine[1].

Il Progetto Genoma Umano ha identificato una sequenza di riferimento eucromatica, che è utilizzata a livello globale nelle scienze biomediche. Lo studio ha inoltre scoperto che il DNA non codificante assomma al 98,5%, più di quanto fosse stato previsto, e quindi solo circa l'1,5% della lunghezza totale del DNA si basa su sequenze codificanti.[2]


Caratteristiche

  

Una rappresentazione grafica del cariotipo umano femminile e maschile normale

Cromosomi

Il DNA nucleare umano si raggruppa in 24 tipi di cromosomi: 22 autosomi, più due cromosomi che determinano il sesso (cromosoma X e cromosoma Y). I cromosomi 1–22 sono numerati in ordine di lunghezza decrescente. Le cellule somatiche hanno due copie dei cromosomi 1–22 provenienti ognuna da un genitore, più un cromosoma X dalla madre e un cromosoma X o Y (rispettivamente nella femmina e nel maschio) dal padre, per un totale di 46 cromosomi distribuiti in 23 coppie, 22 di cromosomi omologhi (autosomi) e una di cromosomi sessuali (eterosomi).

Geni

È stata ipotizzata l'esistenza di circa 20.000 geni codificanti proteine. Il numero stimato di geni umani è stato ripetutamente abbassato dalle iniziali predizioni di 100.000 o più man mano che la qualità del sequenziamento genomico e dei metodi di predizione dei geni sono migliorati, e potrebbe scendere ulteriormente. Secondo una stima di Craig Venter (nel 2007) i geni sarebbero 23.224, mentre secondo Jim Kent (2007) sarebbero 20.433 codificanti e 5.871 non codificanti.

Sorprendentemente, il numero di geni umani sembra essere solo poco più del doppio rispetto a quello di organismi molto più semplici, come Caenorhabditis elegans e Drosophila melanogaster. In ogni caso, le cellule umane utilizzano massicciamente lo splicing alternativo per produrre un gran numero di proteine differenti da un singolo gene, e si pensa che il proteoma umano sia molto più grande di quello degli organismi summenzionati.

La maggior parte dei geni umani ha esoni multipli e degli introni, che sono frequentemente molto più lunghi degli esoni fiancheggianti.

I geni umani sono distribuiti in maniera non uniforme lungo i cromosomi. Ogni cromosoma contiene varie regioni ricche di geni e poveri di geni, che sembrano correlate con le bande cromosomiche e il contenuto in GC. Il significato di questa alternanza non casuale di densità genica non è ben compresa allo stato attuale della conoscenza scientifica.

In aggiunta ai geni codificanti proteine, il genoma umano contiene diverse migliaia di geni codificanti un RNA, incluso tRNA, RNA ribosomico e microRNA, oltre ad altri geni a RNA non codificanti.

Dimensione dei geni codificanti per proteine

La dimensione dei geni codificanti per proteine del genoma umano è estremamente variabile (Tabella 1). Per esempio, il gene per l'istone H1A (HIST1H1A) è relativamente corto e semplice, non avendo introni e producendo un RNA messaggero lungo 781 basi e codificando una proteina di 215 amminoacidi (648 basi di sequenza codificante). Il gene per la distrofina (DMD) è uno tra i più lunghi geni codificanti per proteina raggiungendo le 2200 migliaia di basi di lunghezza. Il gene per la titina (TTN) invece, è il gene codificante per proteina con la sequenza codificante più lunga (114.414 basi), con il più alto numero di esoni (363) e con l'esone singolo più lungo (17.106 basi).

Proteina

Cromosoma

Gene

Lunghezza

Esoni

Lunghezza esoni

Lunghezza introni

Splicing alternativo

Proteina di suscettibilità al cancro della mammella tipo 2

13

BRCA2

84.193

27

11.386

72.807

no

Regolatore della conduttanza transmembrana della fibrosi cistica

7

CFTR

190.299

28

6.105

184.194

Citocromo b

MT

MTCYB

1.140

1

1.140

0

no

Distrofina

X

DMD

2.220.391

78

13.897

2.206.494

Gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi

12

GAPDH

3.971

9

1.493

2.478

Subunità beta dell'emoglobina

11

HBB

1.606

3

626

980

no

Istone H1A

6

HIST1H1A

781

1

781

0

no

Titina

2

TTN

281.435

363

109.224

172.211


Tabella 1. Esempi di geni umani codificanti per proteine. (Dati ricavati da: GeneBase 1.1[3] e banca dati National Center for Biotechnology Information Gene, Luglio 2017).

Un'analisi iniziale sui dati disponibili nel 2001, l'anno in cui è stata pubblicata per la prima volta la sequenza del genoma umano, stimava che la lunghezza media di un esone fosse di 145 basi (mediana: 122 basi), il numero medio di esoni fosse 8.8 (mediana: 7) e che in media una sequenza codificante codificasse 477 amminoacidi (mediana: 367 ; Tabella 21 in). Da una recente analisi sistematica sui dati aggiornati del genoma umano [3], risulta che il più lungo gene umano per proteina è RBFOX1, lungo 2470 migliaia di basi. In tutto il genoma umano, considerando un gruppo revisionato di geni codificanti per proteine, i precedenti valori sono stati aggiornati ai seguenti: la lunghezza media di un gene per proteina è stimata essere di 66.577 basi (mediana: 26.288 basi); la lunghezza media di un esone è stimata essere di 309 basi (mediana: 133 basi), il numero medio di esoni è stimato essere 11 (mediana: 8) e una sequenza codificante in media per 553 amminoacidi (mediana: 425 amminoacidi; Tabelle 2 e 5 ).

Sequenze regolatrici

Il genoma umano ha molte differenti sequenze regolatrici che sono cruciali nel controllare l'espressione del gene. Queste sono di solito brevi sequenze che appaiono in prossimità e all'interno dei geni. Una conoscenza sistematica di queste sequenze regolatrici e come agiscono assieme in una rete regolatrice genica sta cominciando solo ora a emergere dall'alta capacità di trattare informazioni attraverso gli studi di genomica comparata.

L'identificazione delle sequenze regolatrici si basa in parte sulla conservazione evoluzionistica. L'evento di divergenza evolutiva tra gli uomini e i topi, per esempio, ha avuto luogo 70–90 milioni di anni fa. In questa maniera paragoni computerizzati di sequenze di geni che identificano sequenze non codificanti conservate daranno indicazione della loro importanza in compiti come la regolazione dei geni.

Un altro approccio della genomica comparata per localizzare le sequenze regolatrici negli uomini consiste nel sequenziamento dei geni del pesce palla. Questi vertebrati hanno essenzialmente gli stessi geni e le stesse sequenze geniche regolatorie dell'uomo, ma con solo un ottavo di DNA “spazzatura”. La sequenza compatta del DNA del pesce palla rende molto più facile la localizzazione dei geni regolatori.

Altro DNA

Le sequenze codificanti proteine (specificamente, codificanti esoni) comprendono meno dell'1,5% del genoma umano. A parte i geni e le sequenze regolatrici conosciute, il genoma umano contiene ampie regioni di DNA la cui funzione, se esiste, rimane ignota. Queste regioni comprendono di fatto la maggior parte, da alcuni stimata intorno al 97%, del genoma umano. Molta di essa comprende:

Elementi ripetuti

Trasposoni


Lo stesso argomento in dettaglio: Trasposoni.

  • Retrotrasposoni
    • Retrotrasposoni dotati di LTR
      • Ty1-copia
      • Ty3-gypsy
    • Retrotrasposoni non dotati di LTR
  • Trasposoni a DNA

Pseudogeni

Ciononostante, vi è ancora una grande quantità di sequenze che non cade all'interno di alcuna categoria nota.

Molte di queste sequenze potrebbero essere un artefatto evolutivo che non presenta alcun fine oggi, e queste regioni sono a volte indicate nel loro complesso come DNA spazzatura o junk DNA. Esiste, tuttavia, una varietà di prove emergenti che indicano come alcune sequenze all'interno di queste regioni possano funzionare in modi non ancora compresi. Recenti esperimenti con microarray hanno rivelato che una frazione sostanziale di DNA non-genico è di fatto trascritto in RNA, che conduce all'ipotesi che i trascritti risultanti possano avere delle funzioni sconosciute. Inoltre, la conservazione evolutiva lungo i genomi dei Mammiferi di un numero di sequenze così alto da superare la porzione codificante proteine indica che molti, e forse la maggior parte, degli elementi funzionali del genoma rimangano ignoti. Attualmente, nonostante queste eccitanti prospettive, gran parte del genoma umano non viene trascritto e non mostra avere una sequenza altamente conservata. La ricerca sull'informazione portata dalle vaste sequenze del genoma umano le cui funzioni rimangono sconosciute è tuttora una delle strade più importanti dell'indagine scientifica.

Variabilità

Molti degli studi sulla variabilità genetica umana si sono focalizzati sugli SNPssingle nucleotide polymorphisms, che sono sostituzioni di una singola base lungo un cromosoma. Diverse analisi stimano che uno SNP sia presente in media ogni 100 o ogni 1000 paia di basi nell'eucromatina del genoma umano, sebbene essi non si presentino con una densità uniforme. Di conseguenza è rispettato il detto comune che afferma che “tutti gli uomini sono geneticamente identici almeno al 99%”, anche se questo dovrebbe essere definito da molti genetisti. Una sfida collaborativa su larga scala per catalogare gli SNPs del genoma umano è stata intrapresa dall'International HapMap Project.

I loci genomici e la lunghezza di alcuni tipi di piccole sequenze ripetute sono altamente variabili da persona a persona, e questa caratteristica è alla base del DNA fingerprinting e delle tecnologie per i test di paternità basati sull'analisi del DNA. La porzione eterocromatica del genoma umano, che consta in totale di parecchie centinaia di milioni di paia di basi, è ritenuta essere abbastanza variabile all'interno della popolazione umana (è così ripetitiva e così lunga che non può essere sequenziata accuratamente con le attuali tecnologie). Questa regione non contiene geni e sembra improbabile che risulti qualche effetto fenotipico significativo dalle variazioni tipiche nelle ripetizioni o nell'eterocromatina.

Molte mutazioni genomiche grossolane nelle cellule germinali danno probabilmente embrioni non vitali; tuttavia, un certo numero di patologie umane è correlato ad anomalie genomiche su larga scala. La sindrome di Down, la sindrome di Turner e un numero di altre malattie sono il risultato della non-disgiunzione di interi cromosomi. Le cellule cancerose mostrano frequentemente aneuploidia dei cromosomi e dei bracci cromosomici, sebbene non sia ancora stata stabilita una relazione di causa ed effetto tra l'aneuploidia e il tumore.

In un articolo pubblicato nel 2006 su Nature, alcuni ricercatori avevano scoperto che la variazione del numero di copie (CNV) delle sequenze di DNA nell'uomo e in altri animali può essere considerevole. Delezioni, inserzioni, duplicazioni e varianti di più siti, indicate complessivamente come variazioni del numero di copie (CNVs) o polimorfismi del numero di copie (CNPs), sono state individuate in tutti gli uomini e animali esaminati.Malattie genetiche

Queste condizioni sono causate dall'espressione anomala di uno o più geni che si associano a un fenotipo clinico. La malattia potrebbe essere causata da una mutazione genica, da un numero anomalo di cromosomi, da mutazioni nella ripetizione ed espansione di triplette. Il numero attuale di malattie genetiche riconosciute è all'incirca 4 000, di cui la più comune è la fibrosi cistica.

Gli studi sulle malattie genetiche sono spesso svolti utilizzando la genetica di popolazione. Il trattamento viene effettuato da un medico-genetista specializzato in genetica clinica. I risultati del Progetto Genoma Umano probabilmente aumenteranno la disponibilità di test genetici per le relative malattie genetiche e alla fine potrebbero anche portare a miglioramenti nei protocolli di cura. I genitori possono essere sottoposti a esami per vagliare le loro condizioni ereditarie e per essere informati delle loro conseguenze, sulla probabilità che una certa malattia venga ereditata e su come evitarla o alleviarla nei loro figli.

Uno degli effetti maggiormente evidenti a livello di fenotipo umano deriva dal dosaggio genico, i cui effetti giocano un ruolo nelle malattie causate da duplicazioni, perdita o rottura dei cromosomi. Per esempio, un alto tasso di individui affetti dalla sindrome di Down, o trisomia 21 sono soggetti alla malattia di Alzheimer, un effetto che si pensa sia dovuto alla sovraespressione della proteina precursore dell'amiloide, una sostanza correlata all'Alzheimer il cui gene mappa sul cromosoma 21.[11] Viceversa, i pazienti affetti da sindrome di Down sono meno soggetti al tumore al seno: questo può essere probabilmente dovuto alla sovraespressione di un gene oncosoppressore.


Evoluzione

Studi di genomica comparata sui genomi dei mammiferi suggeriscono che all'incirca il 5% del genoma umano si è conservato durante l'evoluzione a partire dalla divergenza avvenuta tra queste specie approssimativamente 200 milioni di anni fa. Questa porzione conservata contiene un'ampia maggioranza di geni e sequenze regolatrici. Intrigantemente, dal momento che geni e sequenze regolatrici rappresentano probabilmente meno del 2% del genoma, questo suggerisce che possano esserci più sequenze funzionali sconosciute che conosciute. Una frazione più piccola, ma comunque ampia, di geni umani sembra essere condivisa tra la maggior parte dei vertebrati analizzati.

Il genoma dello scimpanzé è per il 98.77% identico a quello umano. In media, un gene codificante una proteina in un uomo differisce dal suo ortologo nello scimpanzé per solo due sostituzioni aminoacidiche; quasi un terzo dei geni umani ha esattamente la stessa traduzione proteica dei loro ortologhi nello scimpanzé. Una grande differenza tra i due genomi è rappresentata dal cromosoma 2 umano, che è il prodotto della fusione dei cromosomi 12 e 13 dello scimpanzé.

La specie umana ha subito una massiccia perdita di recettori olfattivi durante la sua recente evoluzione e ciò può spiegare perché il nostro senso dell'olfatto sia approssimativo rispetto a quello della maggioranza dei mammiferi. Prove evolutive suggeriscono che lo sviluppo della visione dei colori nell'uomo e in diversi altri primati possa aver ridotto il bisogno del senso dell'olfatto.

Genoma mitocondriale

Il genoma mitocondriale umano è di grande interesse per i genetisti, dal momento che esso gioca indubbiamente un ruolo importante nelle malattie genetiche mitocondriali. Inoltre, esso è in grado di chiarificare alcuni punti “oscuri” dell'evoluzione umana; per esempio, l'analisi della variabilità del genoma mitocondriale umano ha portato a ipotizzare un recente comune antenato per tutti gli uomini lungo la linea di discendenza materna. (vedi Eva mitocondriale)

A causa della mancanza di un sistema di controllo degli errori di copiatura, il DNA mitocondriale (mtDNA) mostra un tasso maggiore di variazione rispetto al DNA nucleare. Questo aumento di circa 20 volte nel tasso di mutazione consente l'utilizzo del mtDNA come strumento per risalire con miglior accuratezza all'antenato materno. Studi del mtDNA nelle popolazioni hanno permesso di tracciare gli antichi flussi migratori, come la migrazione degli Indiani d’America dalla Siberia o dei Polinesiani dall'Asia sud-orientale. È stato inoltre utilizzato per dimostrare che c'è traccia del DNA dell'uomo di Neanderthal nel genoma dell'uomo europeo che condivide l'1-4% del genoma.


Brevettabilità e controversie

La brevettabilità del genoma umano pone un problema di bioetica, tanto per il diritto universale alla salute e i costi sanitari delle promettenti terapie geniche legate a questione di copyright, quanto per il divieto delle pratiche eugenetiche.

Esiste una giurisprudenza su questo argomento. La prima sentenza in merito è il pronunciamento del Dipartimento di Giustizia di Manhattan (marzo 2010) nel ricorso di appello fra la Ong American Civil Unione and Patents Foundation e la compagnia privata Myriad Genetics, detentrice dei brevetti sui geni Brca1 e Brca2, considerati mutageni e causa di tumore a seno e ovaie. Secondo il giudice, l'isolamento chimico di una sostanza già esistente in natura, la scoperta delle proprietà terapeutiche o la messa a punto di un protocollo di cura basato su tali elementi preesistenti alla terapia non sono sufficienti per la concessione di un brevetto, che si può ottenere per un gene modificato o per le terapie geniche derivanti dalla scoperte sul DNA, in ogni caso da un prodotto derivato e differente ottenuto da una trasformazione dell'elemento di partenza esistente in natura.

Cellula procariote

Le cellule procarioti (latino pro: prima e greco kàryon: nucleo) caratterizzano il controverso, per l'eterogeneità dei suoi rappresentanti, e obsoleto, raggruppamento. Si definiscono, piuttosto che per le caratterizzazioni specifiche a livello biochimico e biomolecolare, principalmente per le loro mancanze a fronte del paragone con le cellule eucariote.

Struttura

Sono accomunate dall'essere organismi unicellulari e cellule prive del nucleo ben definito ovvero delimitato dalla membrana nucleare tipico degli eucarioti. Il loro DNA è generalmente disperso nel citosol (non si tratta di citoplasma in quanto non sono presenti degli organuli cellulari) in una regione interna della cellula chiamata nucleoide.

  

Le cellule procariote hanno una struttura interna molto semplice e rispetto a quelle eucariote possiedono solamente organuli, come acidocalcisomi che sono implicati nella osmoregolazione e ribosomi che sintetizzano le proteine. I ribosomi dei procarioti sono caratterizzati da un coefficiente di sedimentazione di 70S, minore rispetto a quello eucariote di 80S. Presentano, inoltre, marcate differenze a livello sub-unitario (la sub-unità 16S).

Le loro dimensioni sono dell'ordine di pochi micron (μm), ma possono variare dai circa 0,1-0,2 µm di micoplasmi e di alcuni archea ai 30 µm di alcune spirochete sino agli oltre 700 µm di Thiotrichaceae e di alcuni clostridi del genere Epulopiscium quindi risultanti visibili ad occhio nudo. L'interno cellulare non è generalmente suddiviso da membrane (anche se in passato alcune funzioni metaboliche, come la respirazione e la fotosintesi, venivano associate ad invaginazioni e ripiegamenti della membrana cellulare, chiamati mesosomi, poi rivelatisi artefatti).

Gli organismi procarioti sono unicellulari, ma ad esempio nella famiglia delle Pyrodictiaceaearchea ipertermofili a struttura coloniale si produce una rete di cellule discoidali piatte e cannulari, e i mixobatteri si possono aggregare per formare corpi fruttiferi pluricellulari. Si riproducono per scissione o gemmazione e possono presentare fenomeni di trasformazione come la coniugazione dimostrando un sensibile trasferimento genico orizzontale.

Il genoma cellulare è più semplice di quello delle cellule eucariote ed è spesso costituito da una sola molecola circolare di DNA, a cui si aggiungono eventuali repliconi autonomi, ma cromosomi o altre strutture lineari possono[3] essere presenti. È generalmente assente la membrana nucleare ma i rappresentanti dei Planctomycetes la possiedono, probabilmente strutturata come doppia membrana[4].

La parete cellulare, se presente, può essere composta in parte da peptidoglicano o pseudomureine. Esternamente alla parete cellulare ci può essere uno strato più spesso e meno rigido, detto capsula e possono essere presenti pili proteici.

Esempi di organismi, unicellulari o coloniali, formati da cellule procariote sono: i batteri, comprensivi dei cianobatteri (le cianoficee o alghe azzurre) e gli archea.

Tabella comparativa di massima tra cellule procariotiche ed eucariotiche


Procariotiche

Eucariotiche

Organismi tipici

BatteriArchaea

ProtozoiCromistiPianteFunghiAnimali

Dimensioni tipiche

~ 1-10 µm ma con estremi di 0.1-700 µm

~ 10-100 µm ma con estremi estesi fino a dimensioni metriche

Tipo di nucleo

Nucleoide; non c'è un vero nucleo

Vero nucleo con doppia membrana

DNA

a forma di anello in genere, a volte formando un cromosoma lineare; si trova in una zona del citoplasma chiamata 'nucleoide'

molecole lineari (cromosomi) con istoni; si trova nel nucleo

Sintesi RNA/ sintesi proteica

sintesi RNA nel citoplasma, Sintesi proteica nei ribosomi

sintesi RNA all'interno del nucleo, Sintesi proteica nel citoplasma

Ribosomi

50S+30S

60S+40S

Cloroplasto

no

nelle alghe e nelle piante

Organizzazione

in genere cellule singole, colonie

cellule singole, colonie, organismi multicellulari con specializzazione delle cellule

Divisione cellulare

scissionegemmazione

mitosi e meiosi




Mutazione genetica


Evoluzione


Meccanismi e processi

Adattamento
Deriva genetica
Equilibri punteggiati
Flusso genico
Mutazione
Radiazione adattativa
Selezione artificiale
Selezione ecologica
Selezione naturale
Selezione sessuale
Speciazione

Storia dell'evoluzionismo

Storia del pensiero evoluzionista
Lamarckismo
Charles Darwin
L'origine delle specie
Neodarwinismo
Saltazionismo
Antievoluzionismo

Campi della Biologia evolutiva

Biologia evolutiva dello sviluppo
Cladistica
Evoluzione della vita
Evoluzione molecolare
Evoluzione dei vertebrati
Evoluzione dei dinosauri
Evoluzione degli insetti
Evoluzione degli uccelli
Evoluzione dei mammiferi
Evoluzione dei cetacei
Evoluzione dei primati
Evoluzione umana
Filogenetica
Genetica delle popolazioni
Genetica ecologica
Medicina evoluzionistica

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Tipi di mutazione

Per mutazione genetica si intende ogni modifica stabile ed ereditabile nella sequenza nucleotidica di un genoma o più generalmente di materiale genetico (sia DNA che RNA) dovuta ad agenti esterni o al caso, ma non alla ricombinazione genetica.[1] Una mutazione modifica quindi il genotipo di un individuo e può eventualmente modificarne il fenotipo a seconda delle sue caratteristiche e delle interazioni con l'ambiente.

Le mutazioni sono gli elementi di base grazie ai quali possono svolgersi i processi evolutivi. Le mutazioni determinano infatti la cosiddetta variabilità genetica, ovvero la condizione per cui gli organismi differiscono tra loro per uno o più caratteri. Su questa variabilità, tramite la ricombinazione genetica, opera la selezione naturale, la quale promuove le mutazioni favorevoli a scapito di quelle sfavorevoli o addirittura letali. Essendo una parte delle mutazioni non favorevoli, gli organismi hanno sviluppato diversi meccanismi per la riparazione del DNA dai vari danni che può subire, riducendo in questo modo il tasso di mutazione.

Le mutazioni vengono distinte dai genetisti in base alla loro scala di azione: l'alterazione può riguardare un singolo gene, porzioni del genoma o l'intero corredo cromosomico.

Se le mutazioni avvengono in una cellula somatica queste, assieme ai relativi effetti, saranno presenti in tutte le cellule da essa derivate per mitosi; alcune di queste mutazioni possono rendere le cellule maligne e provocare il cancro, e sono responsabili di alcune malformazioni congenite. Se le mutazioni sono presenti nelle cellule delle linee germinali o nei gameti sono ereditate dalle generazioni successive e possono eventualmente provocare malattie genetiche ereditarie.


Origine delle mutazioni

Le mutazioni vengono generalmente classificate in due classi a seconda della loro origine.

Mutazioni spontanee

Le mutazioni spontanee, sono mutazioni provocate da fattori chimici endogeni e da errori nei processi che si attuano sul materiale genetico; la definizione di mutazione spontanea è di mutazione che avviene in assenza di agenti mutageni noti. Non sono molto frequenti, ma sono comunque inevitabili vista la intrinseca imperfezione di ogni meccanismo molecolare. Gli errori possono essere dovuti a:

  • Tautomeria - una base è modificata per lo spostamento di un atomo di idrogeno.
  • Deaminazione - reazione che trasforma una base azotata in una diversa; ad esempio provoca la transizione C U (che può essere riparata); c'è anche la deaminazione spontanea della 5-metilcitosina in T e la deaminazione che determina A HX (adenina  ipoxantina).
  • Depurinazione - idrolisi del legame glicosidico e formazione di un nucleotide privo di base (di solito G o A).
  • Danni ossidativi - dovuti alla formazione spontanea nella cellula di specie con atomi di ossigeno molto reattive, in grado di attaccare il DNA e causare danni al singolo o al doppio filamento e danneggiamento delle basi azotate.
  • Errori nei processi di replicazione, della ricombinazione e della riparazione del DNA. Ad esempio può essere dovuta alla DNA polimerasi che aggiunge nucleotidi non corretti; ciò può generare una trasversione se c'è lo scambio di una purina con una pirimidina o viceversa; una transizione se c'è lo scambio di una purina con un'altra purina oppure di una pirimidina con un'altra pirimidina.


Mutazioni indotte

Le mutazioni indotte sono invece prodotte dall'azione di particolari agenti fisici o chimici detti appunto agenti mutageni. È detto mutagenesi il processo che determina una mutazione indotta e mutagenizzato l'organismo in cui è stata prodotta la mutazione. Si distinguono i danni per mutazioni indotte in:

  • Sostituzione delle basi con molecole con struttura analoga a quelle comunemente presenti nel DNA ma che formano appaiamenti diversi e quindi errati.
  • Aggiunta di gruppi sostituenti alle basi azotate: anche in questo caso generando molecole con capacità di appaiamento non corrette.
  • Danneggiamento delle basi azotate: rompendo legami o aggiungendone di nuovi rispetto alla condizione normale.
  • Inserzione o delezioni di basi.

I mutageni fisici sono soprattutto radiazioni ionizzanti (raggi Xraggi gamma) e non ionizzanti (raggi UV); gli agenti chimici sono molto numerosi e appartengono a diverse classi di composti. Oltre che per la natura i mutageni differiscono anche per spettro mutazionale, ovvero per il tipo (o i tipi) di mutazione che possono provocare. Spesso una stessa conseguenza può essere causata da mutageni diversi (anche per natura), anche se generalmente i meccanismi con cui essi hanno agito sono profondamente diversi.

Un'importante differenza tra mutageni fisici e chimici è che i primi agiscono indipendentemente dall'organismo; i mutageni chimici invece possono avere effetti diversi in funzione del sistema biologico. Mentre una radiazione, infatti, colpisce direttamente il materiale genetico, un composto chimico può interagire con altre molecole (enzimi, metaboliti, specie reattive...) presenti nella cellula che ne possono variare le caratteristiche.

Mutazioni geniche

Sono le mutazioni che alterano un singolo gene e dunque le più "piccole" che si possono avere. In quanto tali non sono visibili attraverso analisi al microscopio (tranne alcuni casi estremi), ma possono essere riscontrate solo tramite analisi genetiche. Le mutazioni geniche portano alla formazione di nuove forme geniche, ovvero di nuovi alleli, detti appunto alleli mutanti. In quanto tali questi sono rari nella popolazione e si differenziano dagli alleli più diffusi detti invece tipi selvatici. Bisogna però far distinzione anche tra alleli mutanti e morfi. I morfi sono infatti due o più alleli di uno stesso gene con frequenza superiore all'1% (polimorfismo). Alla luce di questo ne deriva che il concetto di mutazione non è assoluto: un gene potrà subire una mutazione; se l'allele mutante però troverà le condizioni per diffondersi nella popolazione e superare la frequenza dell'1% non si parlerà più di mutazione ma di morfo.

Possono essere distinte in tre categorie: mutazioni puntiformi, mutazioni dinamiche e riarrangiamenti genici strutturali.

Mutazioni puntiformi

  

Definizione di transizione genica e di trasversione. Entrambe sono mutazioni che vengono comunemente causate da composti genotossici.

Una mutazione puntiforme è una variazione di sequenza del DNA che interessa uno o pochi nucleotidi ma è possibile considerare "puntiformi" anche mutazioni fino a 50 nucleotidi. Molte mutazioni puntiformi sono probabilmente senza effetto, in tal caso si dice che sono neutre, infatti gran parte del DNA in un genoma eucariotico non codifica prodotti proteici ed è incerto se il cambiamento di una singola base nucleotidica in questa parte silente del DNA possa influire sulla salute di un organismo. Una singola mutazione puntiforme può però avere un notevole impatto sul fenotipo come accade ad esempio nell'anemia falciforme.

Sostituzione di basi

Le mutazioni per sostituzione di basi determinano lo scambio di un nucleotide con un altro. Sono definite transizioni qualora vi sia un scambio di una purina con altra purina (A > G) o di una pirimidina con un'altra pirimidina (C > T); si dicono invece transversioni quando lo scambio è di una purina con una pirimidina o viceversa (C/T > A/G). In genere le transizioni sono più frequenti delle transversioni.

Le mutazioni puntiformi possono essere di sei tipologie: silenti, missenso, delezioni o inserzioni in frame, inserzioni nonsenso, mutazioni frame-shift o mutazioni di splicing.

  • Le mutazioni silenti o sinonime si verificano quando la sostituzione di una base azotata in una sequenza di DNA non determina variazione della sequenza amminoacidica della proteina interessata. Se per esempio la tripletta TTT muta in TTC, si avrà una transizione (T > C) in terza posizione della tripletta, ma l'amminoacido codificato a partire dalla tripletta di mRNA corrispondente (UUC) sarà sempre fenilalanina a causa della ridondanza del nostro codice genetico che è degenerato. Le mutazioni silenti sono in prevalenza neutre poiché l'amminoacido non cambia e di conseguenza non cambia neppure la funzionalità della proteina codificata all'interno della quale si trova la tripletta mutata.[2] Molte delle mutazioni responsabili di un alterato processo di splicing si verificano nelle brevi sequenze ESE (Exon Splicing Enhancer) di alcuni esoni, che sono fondamentali per uno splicing corretto, dal momento che vi si legano alcune proteine coinvolte nella regolazione di questo processo. Quando si verificano mutazioni in queste sequenze può verificarsi l'inclusione di introni nell'mRNA maturo, il quale, se venisse codificato, porterebbe a proteine anomale. Mutazioni silenti alle sequenze ESS (Exonic Splicing Silencer) coinvolte anch'esse nel meccanismo di splicing del trascritto primario, possono invece portare all'esclusione di un esone dall'mRNA maturo e di conseguenza alla codifica di proteine tronche da parte dei ribosomi.
  • Le mutazioni missenso si verificano quando all'interno di una sequenza di DNA viene sostituita una base azotata in modo tale che la sequenza amminoacidica sia modificata. Se per esempio la tripletta TTT muta in TCT , con una transizione della base in seconda posizione (T > C), l'amminoacido codificato non sarà più fenilalanina ma serina. Questo tipo di mutazioni può essere neutra e non determinare nessun fenotipo specifico rappresentando semplicemente un polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) o una variante privata, ma può anche dare origine a patologie gravi come l'anemia falciforme. Generalmente si può ritenere neutra una mutazione missenso qualora l'amminoacido sostituito sia presente senza mostrare un fenotipo patologico in un determinato numero di individui sotto forma di polimorfismo a singolo nucleotide o di variante privata, oppure qualora l'amminoacido codificato abbia proprietà simili a quello originario (per esempio una sostituzione di acido glutammico con acido aspartico). La mutazione può però dare origine a condizioni patologiche quando l'amminoacido codificato dalla nuova tripletta presenta proprietà molto diverse dal precedente (per esempio la sostituzione di una valina con acido aspartico), qualora non sia stata riscontrata in casi precedenti o in ambito parentale oppure quando si verifica in una regione altamente conservata di una proteina. Spesso infatti anche una singola mutazione in una regione altamente conservata di una proteina le fa perdere funzionalità.
  • Le delezioni in frame e le inserzioni in frame determinano rispettivamente l'eliminazione di una tripletta o di un numero di nucleotidi divisibili per 3 oppure l'inserzione di una tripletta o di un numero di nucleotidi divisibili per 3. Sono "in frame" poiché non spostano la cornice di lettura a livello ribosomiale, questo infatti comporterebbe il pressoché totale cambiamento della sequenza amminoacidica di una proteina. Questo tipo di mutazioni determina l'eliminazione o l'aggiunta di amminoacidi nella proteina codificata a partire dall'mRNA maturo che le contiene. Le conseguenze di queste mutazioni sono molto varie.
  • Le mutazioni nonsenso si verificano quando una mutazione ad un nucleotide di una tripletta determina la trasformazione di un codone codificante un amminoacido in un codone di stop. Per esempio la tripletta AGC codificante la serina è sostituita da ATC, che verrà trascritto nell'mRNA come UAG, uno dei tre codoni di stop. La conseguenza è che la proteina codificata non viene esportata oppure, se codificata, è tronca, poiché la traduzione si conclude al codone di stop ignorandone le triplette a valle. La conseguenza di questa mutazione è una proteina tronca non funzionale o nociva. Se però il codone di stop si trova ad almeno 50 nucleotidi dalla sequenza di splicing più vicina nell'mRNA, la cellula attiva un meccanismo di protezione noto come NMD (Nonsense Mediated Decay) che degrada l'mRNA mutato. In alternativa, è possibile che si attivi un altro meccanismo noto come NAS (Nonsense-associated Alterated Splicing) che esclude l'esone contenente la tripletta mutata in codone di stop, permettendo l'associazione degli altri esoni in una proteina più corta.
  • Le mutazioni frame-shift sono dovute a delezione o inserzioni di un numero di nucleotidi non divisibile per 3, questo comporta lo spostamento della cornice di lettura a valle della mutazione e quindi la codificazione di una sequenza amminoacidica non corrispondente a quella del trascritto originario.[3] La conseguenza è la produzione di proteine anomale che hanno solo porzioni di sequenza corrispondenti all'originaria o la mancata esportazione o traduzione dell'mRNA mutato.

  

Esempi di effetti di mutazioni frameshift

  • Le mutazioni di splicing sono un insieme di quattro tipi di mutazioni che coinvolgono sequenze importanti per lo splicing del pre-mRNA. Una prima tipologia coinvolge il sito donatore di splicing (GT) o il sito accettore (di norma AG). Mutazioni in questi due marcatori iniziale e finale di una sequenza intronica possono portare all'inclusione dell'introne nel trascritto maturo oppure ad uno splicing non corretto. Una seconda tipologia coinvolge brevi sequenze consenso a monte e a valle del sito donatore e del sito accettore, oppure una sequenza consenso del sito di biforcazione (branch-site). Una terza tipologia coinvolge mutazioni in una sequenza ESE o ESS e può essere ascritta anche alle mutazioni silenti. Infine un'ultima tipologia coinvolge mutazioni che creano nuove sequenze consenso all'interno di un introne, e in tal caso questo o sue parti possono venire incluse nel trascritto, oppure in un esone, in tal caso si verifica l'exon skipping.


Mutazioni in regioni regolatrici della trascrizione

Mutazioni puntiformi possono anche verificarsi all'interno della regione regolatrice di un gene. Ciò può determinare conseguenze molto variabili che vanno da nessun effetto fenotipico a cambiamenti dell'espressione genica che danno origine a gravi patologie.

Gli studio di genetica hanno evidenziato che l'entropia di una sorgente genetica crescente nel tempo, misura l'accumulo di mutazioni degenarative nel DNA, progressivo nelle generazioni di cellule riprodotte dall'organismo, così come attraverso le generazioni di individui[4].
Anche qualora le mutazioni casuali o indotte dall'uomo siano classificate come favorevoli (in un orizzonte di breve termine, contro una malattia), risultano in genere associate ad una perdita dell'informazione del gene e ad una riduzione della sua funzionalità nei processi organici ordinari[4].

Mutazioni dinamiche

Le mutazioni dinamiche sono dovute alla ripetizione di brevi triplette nucleotidiche all'interno di una regione codificante (in questo caso la tripletta più frequente è CAG che codifica la glutammina) o non-codificante di un gene. La mutazione, che si origina nel corso della replicazione del DNA, provoca una variazione nel numero di queste sequenze ripetute; il nuovo filamento di DNA potrà presentarne in eccesso o in difetto. Il fenomeno che causa la mutazione è detto slittamento della replicazione (replication slippage) ed è dovuto al cattivo appaiamento dei due filamenti complementari. Malattie genetiche associate a questo tipo di mutazione sono la Corea di Huntington e la sindrome dell'X fragile.

Riarrangiamenti genici strutturali

I riarrangiamenti genici strutturali comprendono tutte quelle mutazioni che alterano il genoma variando la struttura dei cromosomi (mutazioni cromosomiche) o il numero dei cromosomi (mutazioni genomiche). Sono definite anche anomalie citogenetiche o anomalie cariotipiche. Queste alterazioni normalmente sono una conseguenza di un errore durante la divisione cellulare, nella meiosi o nella mitosi. A differenza delle mutazioni geniche che sono riscontrabili solo tramite analisi genetica, queste possono in molti casi essere visibili anche al microscopio, in quanto portano alla formazione di particolari strutture cromosomiche nella fase di appaiamento. Le loro conseguenze possono variare da nessun effetto fenotipico qualora le mutazioni coinvolgano sequenze ripetute a patologie genetiche gravi.

  Cromosomi danneggiati: a partire da rotture del doppio filamento di DNA si possono originare le anomalie cromosomiche

Mutazioni cromosomiche

Si parla di mutazioni cromosomiche o anomalie cromosomiche quando è la struttura di uno o più cromosomi ad essere alterata. Le mutazioni cromosomiche possono essere di sei tipi: delezioni o duplicazioni, inversioni, traslocazioni, conversioni geniche, trasposizioni e cromosomi ad anello.

  • Le delezioni e duplicazioni sono dovute ad errori nel processo della ricombinazione omologa, detta anche crossing-over, che si verifica nella meiosi. A causa della presenza di geni che hanno un alto grado di omologia, di pseudogeni o di sequenze ripetute si possono verificare errori nell'appaiamento dei cromosomi, tali che i frammenti di DNA scambiati tra i due cromosomi non sono eguali, per cui si verifica una delezione su uno e una duplicazione sull'altro. Può capitare che durante una ricombinazione non-omologa dovuta ad un riarrangiamento non corretto alcuni geni all'interno di blocchi di DNA siano collocati presso un'area a forte presenza eterocromatica. In questo caso è possibile che questi geni vengano inattivati mediante il fenomeno dell'effetto di posizione. Disturbi associati a questa anomalia sono la sindrome di Wolf-Hirschhorn, che è causata dalla perdita di parte del braccio corto del cromosoma 4, e la sindrome di Jacobsen, originata dalla delezione della parte terminale del cromosoma 11. Alcuni disturbi conosciuti dovuti a duplicazione sono la sindrome di Bloom e la sindrome di Rett.
  • La traslocazione avviene quando una regione di un cromosoma viene trasferita in un'altra posizione dello stesso cromosoma o di un altro; ci sono due tipi principali di traslocazioni: la traslocazione reciproca e la traslocazione robertsoniana.
  • L'inversione è una mutazione dovuta all'inversione dell'orientamento di una regione di un cromosoma che causa un'inversione dell'ordine dei geni. Sono dovute alla forte presenza di sequenze duplicate o invertite presso il gene interessato. L'omologia delle due sequenze determina il ripiegamento del DNA e il loro appaiamento. La cellula interviene effettuando una ricombinazione non omologa che determina l'inversione della regione compresa tra le due ripetizioni.
  • La conversione genica è una mutazione in cui si hanno trasferimenti non reciproci di sequenze di DNA tra geni o alleli, nel primo caso la conversione è interallelica nel secondo caso si dice che è interlocus. Delle due sequenze, quella che rimane invariata è detta donatore, quella che viene modificata è detta accettore.
  • La trasposizione si verifica quando un elemento trasponibile come LINE o SINE si integra nel genoma dopo essere stato retrotrascritto. Tale mutazione può non avere nessun effetto fenotipico se interessa regioni ripetute, ma può dare origine a patologie quando la trasposizione avviene all'interno di un gene attivamente trascritto.
  • L'anello si verifica quando le due estremità di un cromosoma si appaiano tra loro, formando un anello. Quest'anomalia può comportare, o meno, perdita di materiale genetico.


Mutazioni del cariotipo

Si parla di mutazione genomiche o anomalie cariotipiche quando un organismo presenta dei cromosomi in più o in meno rispetto al normale.

Se sono presenti interi corredi cromosomici in più o in meno si parla di euploidia aberrante; se invece è solo una parte del corredo in eccesso o in difetto l'anomalia è chiamata aneuploidia.

Nell'uomo e, in generale, in tutti gli organismi diploidi, che hanno dunque coppie di cromosomi omologhi, le forme di aneuploidia più frequenti sono la mancanza di un cromosoma da una coppia (monosomia) o la presenza di un cromosoma in più in una coppia (trisomia). Più raro è il caso di perdita di una coppia intera (nullisomia).

Un esempio degli effetti di un'anomalia di questo tipo è la sindrome di Down, chiamata anche trisomia 21; gli individui affetti da questa sindrome hanno tre copie del cromosoma 21, invece che due. La sindrome di Turner è invece un esempio di monosomia; gli individui nati con questa anomalia possiedono un solo cromosoma sessuale, quello femminile X. Tra gli organismi aploidi i casi più diffusi di aneuploidia consistono nella presenza di un cromosoma soprannumerario (disomia).

Effetti delle mutazioni su larga scala

Anche per questa categoria di mutazioni le possibili conseguenze sull'organismo sono variabili. In generale ci sarà effetto ogni volta che, nella modificazione del cromosoma o del genoma, si altera anche la sequenza o il numero di uno o più geni. A differenza delle mutazioni geniche in questo caso gli effetti saranno sempre negativi.

  • Per tutte le mutazioni cromosomiche è necessaria la rottura del doppio filamento in almeno un punto per permettere il successivo riarrangiamento: se la rottura avviene all'interno di un gene al termine del processo la sua sequenza sarà mutata. Ad esempio, in un'inversione, se le fratture sono avvenute in sequenze codificanti, a seguito del diverso orientamento del frammento reinserito, i geni alle estremità avranno parte della sequenza giusta e parte proveniente dall'altra estremità del frammento, quindi sbagliata (i geni interni al frammento invece non saranno mutati ma solo invertiti nell'ordine). La situazione è analoga per le traslocazioni. Le delezioni e le duplicazioni invece avranno ulteriori conseguenze, essendo riarrangiamenti che alterano non la disposizione ma la quantità di materiale genetico. La delezione avrà effetti negativi proporzionali alla dimensione del frammento deleto. La duplicazione aumenta il numero di copie dei geni contenuti nel frammento duplicato: anche questo però ha conseguenze dannose perché determina uno squilibrio genico.
  • In modo analogo nelle mutazioni del cariotipo si ha un aumento o una diminuzione delle dimensioni del genoma cellulare. L'auploidia aberrante è rara ma comunque letale negli animali (tranne rare eccezioni), può essere anche determinante invece nelle piante. Recenti studi invece hanno ormai dimostrato che l'aneuploidia è una delle dirette cause di molti tumori (e non una conseguenza come si era anche pensato)[5].

Altre mutazioni

  • Mutazioni da sistemi di riparazione: paradossalmente mutazioni genetiche possono essere inserite anche da particolari processi di riparazione del DNA. Può capitare infatti che determinati danni del DNA non siano riconosciuti e riparati da nessun macchinario preposto a questo compito, fino al successivo ciclo di replicazione: se questi danni (come ad esempio i fotoprodotti indotti dalle radiazioni ultraviolette) bloccano l'azione della DNA polimerasi, cioè impediscono di replicare il DNA a valle del danno, determinano la perdita di materiale genetico con conseguenze praticamente sempre letali per la cellula figlia. Si sono allora sviluppati meccanismi di riparazione cosiddetti SOS, che agiscono in questi casi estremi: le polimerasi di questo sistema non si bloccano, ma aggiungono lo stesso nucleotidi davanti al danno; nella gran parte dei casi però l'aggiunta è casuale e quindi con alto rischio di aggiungere nucleotidi non corretti; quindi di provocare mutazioni. Un altro sistema con conseguenze analoghe è il sistema di riparazione delle rotture del doppio filamento di DNA che non sfrutta l'omologia: il cosiddetto NHEJ (non-homologous end joining, giunzione delle estremità non omologhe). Anche qui per riparare la rottura e evitare di perdere il frammento privo di centromero nel successivo ciclo meiotico o mitotico il sistema provoca delezioni delle sequenze adiacenti alla rottura. In entrambi i casi quindi i sistemi evitano un danno molto grande, ma devono pagare come prezzo l'inserimento di mutazioni anch'esse potenzialmente dannose.
  • Mutazioni condizionali: sono mutazioni che pur presenti hanno un effetto soltanto in determinate condizioni ambientali. I casi più diffuso, tra gli aploidi, sono le mutazioni sensibili alla temperatura; che agiscono cioè solo al di sopra (o di sotto) di determinate soglie di temperatura.
  • Mutazioni per trasposizione: sono dovute all'inserimento, all'interno della sequenza codificante o di regolazione, di elementi trasponibili o trasposoni. Questi determinano l'inattivazione completa del gene, ma essendo elementi dinamici, possono fuoriuscire dal gene e ristabilire la sua sequenza corretta.


Effetti delle mutazioni geniche

Gli effetti possono essere notevolmente diversi a seconda del tipo di mutazione e della posizione in cui questa si verifica. Una mutazione può non portare a nessuna conseguenza e questo quando interessa DNA che non codifica (o meglio sembra non codificare) nessun prodotto genico (il cosiddetto junk DNA o DNA spazzatura ). 

Se la mutazione va invece ad alterare le sequenze codificanti, ovvero i geni, si ha una variazione nel tipo o nella quantità del corrispettivo prodotto genico, che può essere una proteina o RNA funzionale (rRNAtRNAsnRNA ecc.). Parliamo in questo caso di mutazione biochimica; se la mutazione biochimica porta a una variazione visibile del fenotipo si parla di mutazione morfologica. 


Inoltre distinguiamo, sempre in relazione agli effetti, in:

  • mutazione positiva: porta un vantaggio evolutivo;
  • mutazione neutra: non risulta in un depotenziamento della capacità riproduttiva dell'individuo;
  • mutazione disvitale o semiletale: rende più difficoltosa la perpetuazione riproduttiva dell'individuo (il tipico esempio sono le malattie genetiche che debilitano in qualche modo l'individuo, rendendolo meno capace di riprodursi, senza però impedirglielo totalmente);
  • mutazione subletale: non permette all'individuo di raggiungere l'età riproduttiva;
  • mutazione letale: porta alla morte dell'individuo in fase embrionale o fetale.

L'efficacia della mutazione, sia positiva che negativa, dipende poi dal tipo di allele mutato così creato; questo potrà essere infatti dominante o recessivo. Nei diploidi se è dominante avrà sempre effetto (sia in un eterozigote che in un omozigote dominante); se è recessivo, essendo aploinsufficiente, per avere effetto ha bisogno che anche l'altro elemento della coppia genica sia mutato (individuo omozigote recessivo). Negli aploidi, che sono emizigoti, la mutazione avrà invece sempre effetto.

Le mutazioni possono essere in alcuni casi pleiotropiche, ovvero possono dar luogo a più effetti: ad esempio nel topo (Mus musculus), un comune allele mutante e dominante in condizioni di eterozigosi determina una variazione del colore del mantello; in omozigosi, cioè quando l'allele mutato è presente in duplice copia, provoca invece la morte dell'animale prima ancora della nascita. Si può presumere quindi che il gene mutato controlli non solo il colore della pelliccia, ma anche qualche altro processo biochimico vitale per l'organismo.

Reversione e soppressione

A differenza di mutazioni su larga scala, quelle puntiformi possono essere soggette a reversione: attraverso altre mutazioni le prime possono scomparire o ne può scomparire l'effetto sull'organismo. Nel primo caso parliamo di reversione in senso stretto: la mutazione revertente può riportare il codone mutato così com'era originariamente (si parla comunemente di retromutazione); oppure la mutazione può alterare sempre il codone mutato trasformandolo in uno diverso da quello iniziale, ma codificante lo stesso amminoacido (reversione di sito). Nel caso in cui la seconda mutazione occorra su un codone diverso si parla di soppressione: la soppressione potrà essere interna se il codone è all'interno del gene mutato o esterna se appartiene ad un altro gene. Un esempio di soppressione interna è una delezione (o un'inserzione) che annulla l'effetto di una inserzione (o delezione) nello stesso gene. Il caso più comune di soppressione esterna è invece la mutazione nell'anticodone di un tRNA che annulla quella avvenuta nel codone complementare.

Nomenclatura

È stata sviluppata una particolare nomenclatura per specificare il tipo di mutazione e il tipo di base o amminoacido cambiato.

  • Sostituzione di un amminoacido - (ad esempio D111E) La prima lettera rappresenta il codice (ad una lettera) dell'amminoacido originariamente presente; il numero indica la posizione dell'amminoacido a partire dall'estremità N-terminale; la seconda lettera è il codice dell'amminoacido sostituito in seguito alla mutazione. Se la seconda lettera è una X vuol dire che un qualunque amminoacido può sostituire quello iniziale.
  • Delezione di un amminoacido - (ad esempio ΔF508) Il simbolo greco Δ (delta) indica una delezione; la lettera rappresenta l'amminoacido deleto; il numero è la posizione, sempre dall'N-terminale, dove si trovava l'amminoacido nella sequenza prima della delezione.


Storia

  

Il naturalista Hugo de Vries

Il primo a introdurre il termine mutazione nel campo della genetica fu Hugo de Vries[6], nel 1901, che lo riferiva però alle brusche variazioni nei caratteri di un organismo; in particolare osservando come nella progenie di un ceppo della pianta Oenothera lamarckiana si potevano ottenere alcuni individui inaspettatamente giganti. Il concetto di mutazione così come è inteso oggi, invece, fu usato solo a partire dal 1927. In generale si può dire, comunque, che le mutazioni genetiche hanno avuto un ruolo essenziale ancora prima, fin dagli albori della genetica; già nei celebri lavori del padre della genetica, Gregor Mendel, infatti, i fenotipi come il colore bianco dei petali o giallo dei semi maturi, usati per formulare le sue leggi, non erano che dovute a mutazioni inattivanti dei corrispettivi geni.

  

Thomas Hunt Morgan

Il primo "sfruttamento" consapevole delle mutazioni avviene a partire dagli studi, condotti ai primi del 900 da Thomas Hunt Morgan e il suo cosiddetto fly group, sul moscerino della frutta Drosophila melanogaster. Morgan e colleghi portarono le prime importanti prove sperimentali della teoria cromosomica dell'ereditarietà, che ipotizzava per la prima volta una stretta connessione tra geni e cromosomi. I ricercatori isolarono in una vasta popolazione di insetti un moscerino dagli occhi bianchi (mentre nel fenotipo selvatico erano rossi). Anche qui il fenotipo particolare era stato provocato da una mutazione spontanea nel gene per il colore degli occhi.

Mutazione che aveva prodotto una nuova forma allelica; gli incroci tra individui con alleli diversi hanno permesso di ottenere i risultati sopra detti. Morgan isolò per questi incroci, dopo il caso del moscerino dagli occhi bianchi, ben 83 ceppi ciascuno con mutazioni su geni diversi. Le mutazioni ebbero poi un ruolo sempre più crescente da quando furono scoperti i primi agenti mutageni. La maggior parte degli esperimenti chiave nella storia della genetica fecero uso di mutazioni indotte: nel 1941, nel loro celebre esperimento che portò al dogma un gene-un enzimaEdward Lawrie Tatum e George Wells Beadle fecero ad esempio uso di ceppi di Neurospora crassa mutagenizzati tramite raggi X. In modo analogo Tatum e Joshua Lederberg nel 1946 usarono mutazioni in ceppi di Escherichia coli per dimostrare l'esistenza del processo di coniugazione batterica.

Un importante capitolo nella storia delle mutazioni nella genetica riguarda la disputa sull'origine delle mutazioni nei batteri. Intorno agli anni quaranta infatti alcuni batteriologi misero in dubbio che le mutazioni potessero avvenire nei batteri in modo del tutto spontaneo (come era invece accettato per gli organismi superiori) essi ritenevano piuttosto che le mutazioni erano indotte dalla presenza di particolari condizioni ambientali. Ad esempio, i batteri che sopravvivevano in seguito all'aggiunta di un batteriofago avevano acquisito la resistenza grazie a una mutazione indotta dalla stessa presenza dei fagi (teoria adattativa). Numerosi altri studiosi invece erano convinti che le mutazioni si verificassero così come in tutti gli altri organismi, spontaneamente. Quest'ultima teoria (teoria genetica) fu definitivamente dimostrata da due celebri esperimenti: il cosiddetto test di fluttuazione (o di Salvador Luria e Max Delbrück), sviluppato nel 1943 e la tecnica della piastratura delle repliche ideata da Joshua e Esther Lederberg.

Applicazioni nelle analisi genetiche

Gli studi genetici che fanno uso di mutazioni possono essere distinte in due categorie a seconda dello scopo dello studio e dei dati che si posseggono: studi di genetica diretta e di genetica indiretta. Il primo approccio è usato qualora si voglia determinare i geni che in un organismo siamo correlati a una certa funzione: in questo caso l'organismo viene esposto a mutageni e successivamente il genetista compie la cosiddetta "caccia al mutante", in cui va a ricercare gli individui i cui sono stati alterati i fenotipi correlati alla funzione che si sta studiando. A questo punto si determina la posizione del gene mutato tramite incroci si isola e si analizza in dettaglio: ne si determina la sequenza nucleotidica e si osserva per quale prodotto genico codifica. Nella genetica diretta quindi si parte dal fenotipo per vedere da quale genotipo è causato. Il secondo tipo di studio compie invece il percorso inverso: parte dal genotipo per studiare il fenotipo: si parte in genere da una sequenza di DNA o RNA nota o addirittura da un prodotto genico (di solito una proteina), si mutagenizzano in modo selettivo e si vede che effetti fenotipo causano nell'organismo; si parla in questo caso anche di silenziamento genico.

Mutagenesi sito specifica

Molto importanti sono le tecniche che permettono di ottenere mutazioni sito specifiche; mutazioni cioè indotte in modo selettivo nelle zone di interesse di una sequenza. In questo modo per esempio è possibile inserire una mutazione in un particolare dominio di una proteina e, saggiando le conseguenze, determinarne la funzione.

Test di mutagenesi

I test di mutagenesi sono procedure in cui cellule, tessuti o interi organismi sono esposti all'azione di una sostanza chimica, per verificarne e/o quantificarne la mutagenicità; i sistemi biologici in esame sono quindi studiati, dopo un certo periodo di incubazione, e analizzati per vedere la presenza di eventuali mutazioni. In generale la capacità mutagena di un agente è direttamente proporzionale ai mutanti identificati al termine del test. I test routinari sono svolti su batteri, essendo sistemi più conosciuti e di più facile utilizzo. I test sono però volti a scoprire il danno che una sostanza può creare all'uomo, il quale ha, ovviamente, molte caratteristiche biologiche diverse dai procarioti; per questo si procede a modificare geneticamente i batteri usati nei test per mimare un sistema il più vicino possibile a quello umano, oppure si usano cellule di mammifero (solitamente di roditori). Tra i test più usati ci sono il test di Ames e il test del micronucleo.

Il test di Ames

  

Colonie del batterio di salmonella

Un esempio di applicazione delle mutazioni in campo biomedico è il test di Ames. Il test, sviluppato negli anni settanta da Bruce Ames, ha lo scopo di determinare la cancerogenicità di una sostanza studiando la sua capacità di indurre mutazioni; in generale infatti una sostanza mutagena è anche cancerogena. È solitamente usata una forma mutata del batterio Salmonella typhimurium, ad esempio un ceppo che non è in grado di crescere in terreno privo di istidina; il ceppo è diviso in due piastre separate con terreni privi dell'amminoacido: uno di essi sarà esposto alla sostanza da testare l'altro no. Se la sostanza ha capacità mutagena ci sarà una certa probabilità che induca delle reversioni della mutazione; annulla cioè l'effetto della prima mutazione con una mutazione, permettendo di nuovo al batterio di sopravvivere anche in assenza di istidina. Sul ceppo non mutagenizzato invece non ci sarà nessuna colonia o molto poche (essendo la reversione per mutazione spontanea molto rara). Più colonie sopravviveranno nel campione mutagenizzato, maggiore sarà stato il numero di retromutazioni e quindi maggiore è la cancerogenicità della sostanza.

Esempi di mutazioni positive

  • La tolleranza al lattosio, che permette la digeribilità del latte e degli alimenti che lo contengono, è derivata secondo i genetisti da una mutazione favorevole avvenuta circa 10.000 anni fa (8.000 secondo altre fonti) che colpì gli uomini che abitavano la zona del Caucaso. È un chiaro esempio di mutazione favorevole che, in quanto tale, presto si diffuse rapidamente nella popolazione: ad oggi solo una parte della popolazione umana soffre di intolleranza per questa sostanza. Ulteriori dimostrazioni derivano dal fatto che popoli che abitarono zone lontane dall'origine della mutazione, come Asiatici e Africani, e che non vennero in stretto contatto con i caucasici, presentano oggi una maggiore diffusione dell'intolleranza al lattosio congenita.
  • Un altro caso che si ritiene essere una mutazione positiva è la delezione di 32 coppie di basi nel gene umano CCR5 (CCR5-32) che conferisce all'uomo la resistenza all'AIDS negli omozigoti e ritarda gli effetti negli eterozigoti.[7] La mutazione è mediamente più diffusa tra coloro che hanno discendenza europea; una teoria per spiegare la maggiore diffusione nella popolazione europea della mutazione CCR-32 la mette in relazione con le forme di resistenza alla peste bubbonica sviluppate nella metà del quattordicesimo secolo.[8]
  • La mutazione dell'apolipoproteina Apo A-1 in Apo A-1 Milano, tale mutazione conferisce agli abitanti di Limone sul Garda (portatori di questa mutazione) un'innata resistenza agli effetti dannosi del "colesterolo cattivo", dei trigliceridi elevati nel sangue e previene la formazione delle placche ateromasiche[9]; Questa proteina mutata ha conferito, inoltre, agli abitanti del paese un'estrema longevità, una dozzina di residenti ha superato i 100 anni (su circa un migliaio di abitanti).

Esempi di mutazioni negative

  • La fenilchetonuria è una malattia provocata da una mutazione genica che rallenta o blocca la capacità di trasformare l'amminoacido fenilalanina in tirosina. Questo dunque si accumula nell'organismo e se in grado di raggiungere il cervello può provocare danni neurologici.

    Un esemplare di gatto Man


  • Il daltonismo ha tra le varie cause possibili quelle genetiche, dovute a mutazioni su geni che codificano fotorecettori.
  • L'albinismo è una disfunzione genetica dovuta alla mutazione del gene per la melanina.
  • L'anemia drepanocitica o anemia falciforme è una malattia del sangue conseguenza di una mutazione che provoca l'alterazione della struttura e della funzione dei globuli rossi.
  • Il gatto Man si è sviluppato a seguito di un'alta frequenza di accoppiamento tra individui consanguinei. La mutazione riguarda il gene cosiddetto "M" e provoca oltre all'assenza di coda anomalie nella struttura scheletrica. Il gene è dominante ma si manifesta con diversa espressività. Gli individui omozigoti dominanti (M/M) non sopravvivono e muoiono quando sono ancora nello stato di feto nell'utero materno.

Mutazioni per scopi commerciali

Mutazioni indotte possono essere alla base di processi per la selezione di organismi mutanti con caratteristiche vantaggiose. Sono pratiche usate principalmente in agricoltura e rivolte a specie vegetali. I vantaggi possono riguardare ad esempio la capacità di crescere in particolari condizioni ambientali, la presenza di frutti più grandi o privi di semi ecc. In molti casi le mutazioni riguardano la variazione nel numero di cromosomi. Esempi sono:

  • la produzione di specie con un corredo cromosomico in più del normale e dispari (aneuploidia); le banane che troviamo in commercio, ad esempio, sono triploidi invece di diploidi. Lo scopo è di ottenere piante che siano sterili e per questo con frutti privi di semi.
  • il raddoppio del corredo cromosomico (euploidia aberrante): ad esempio in molte specie di uva, che è solitamente diploide, si agisce bloccando il processo meiotico generando piante tetraploidi (con 4 corredi). In questo caso la conseguenza favorevole è l'aumento delle dimensioni del frutto (l'acino d'uva) in parallelo con l'aumento del materiale genetico.

Queste metodologie non devono essere confuse con quelle usate in ingegneria genetica e che sono alla base degli organismi geneticamente modificati (OGM).

Note

  1. ^ Anche se formalmente le mutazioni riguardano entrambi gli acidi nucleici, esse interessano quasi sempre il DNA. Tra i rari casi di mutazioni su RNA rientrano, ad esempio, quelle che colpiscono gli RNA-virus
  2. ^ In pratica, tuttavia, molte mutazioni silenti, nonostante non alterino il tipo di amminoacido codificato in virtù della degenerazione del codice a triplette, possono influenzare il processo di splicing del trascritto primario, portando a splicing alternativi che possono generare RNA messaggeri maturi più corti, che portano di conseguenza a proteine più corte. È il caso ad esempio della sindrome HGPS (sindrome della progeria di Hutchinson-Gilford), in cui la mutazione sinonima di un singolo codone genera mRNA maturi e proteine più corte, responsabili di fenotipi alterati.
  3. ^ Nel caso i nucleotidi aggiunti siano identici a quelli adiacenti è formalmente più corretto parlare di duplicazione invece che di inserzione.
  4. ^  La genetica esclude l'evoluzionismo: evidenti perdite di informazioni, su laverascienza,
  5. ^ Se i cromosomi danno i numeri, Le Scienze 462 pag.32,2007
  6. ^ Hugo de Vries sull'ereditarietà
  7. ^ Il gene CCR5 e l'infezione da HIV, Antonio Pacheco. Archiviato il 16 aprile 2007 in Internet Archive.
  8. ^ PBS: I misteri della morte nera.
  9. ^ Franceschini G, Sirtori CR, Capurso A, Weisgraber KH, Mahley RW, A-I Milano apoprotein. Decreased high density lipoprotein cholesterol levels with significant lipoprotein modifications and without clinical atherosclerosis in an Italian family, in J. Clin. Invest., vol. 66, 1980, p. 892–900, DOI:10.1172/JCI109956.

Bibliografia

Lucia Migliore, Mutagenesi ambientale, Bologna, Zanichelli, 2004. ISBN 88-08-07719-5

  • Peter J. Russel, Genetica, Napoli, Edises, 2002. ISBN 88-7959-284-X
  • Anthony F.J. Griffiths, Genetica. Principi di analisi formale., Zanichelli, 2006
  • (EN) Leroi A. 2003. Mutants: On the form, varieties & errors of the human body. 1:16-17. Harper Collins 2003
  • (EN) Maki H. 2002. Origins of spontaneous mutations: specificity and directionality of base-substitution, frameshift, and sequence-substitution mutageneses. Annual Review of Genetics 36:279-303.
  • (EN) Taggart R. Starr C. Biology The Unity and Diversity of Life: Mutated Genes and Their Protein Products. 4.4:227. Thompson Brooks/Cole 2006.

Libri online

(EN) Capitolo 7, The Molecular Basis of Mutation ida Modern Genetic Analysis, Anthony J. F. Griffiths, William M. Gelbart, Jeffrey H. Miller e Richard C. Lewontin (1999) pubblicato da W. H. Freeman and Company ISBN 0-7167-3597-0.

Voci correlate


Collegamenti esterni


Legge italiana

In Italia esistono dei vaccini obbligatori per legge e vaccini raccomandati. Entrambi seguono un calendario vaccinale[62] ben definito. Esistono anche delle vaccinazioni consigliate da effettuare in caso di viaggi all'estero, in particolare in Stati o zone caratterizzate da un'alta endemia per determinate patologie infettive.

Il Decreto Ministeriale del 7 aprile 1999 (e il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 di cui ord. n. 228 del 10/12/1998) stabiliva che le vaccinazioni obbligatorie fossero quattro: antidifterite, antitetanica[65], antipoliomielite[66] antiepatite virale B.
Le vaccinazioni consigliate non obbligatorie in età pediatrica erano: l'antimorbillo-parotite-rosolia (MPR), la vaccinazione contro le infezioni invasive da Haemophilus influenzae b, l'antimeningococcica, l'antiparotite, l'antirosolia.

A seguito della legge n. 119 del 31 luglio 2017, nata per rendere obbligatorie le vaccinazioni nei confronti di malattie a rischio epidemico e per raggiungere e mantenere la soglia di copertura vaccinale del 95%, come raccomandato dall'OMS, il Governo Gentiloni reintroduce l'obbligatorietà delle vaccinazioni per i minori fino ai 16 anni aggiungendo, alle quattro già obbligatorie (difterite, tetano, poliomielite ed epatite B), quelle per morbillo, parotite e rosolia, pertosse, Haemophilus tipo b e varicella. La stessa legge prevede inoltre quattro vaccinazioni fortemente raccomandate, ma non obbligatorie, ad offerta attiva e gratuita da parte di Regioni e Province autonome: l'anti-meningococcica B, l'anti-meningococcica C, l'anti-pneumococcica e l'anti-rotavirus.

Le vaccinazioni obbligatorie, per i nati dal 2001, secondo il calendario di riferimento (di seguito riportato), sono gratuite.


Per chi non vaccina i figli è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro a 500 euro proporzionata alla gravità dell'inosservanza (es. vaccinazioni omesse). Le nuove regole sono entrate in vigore dall'anno scolastico 2017/2018.[68] La sanzione estingue l'obbligo della vaccinazione ma non permette comunque la frequenza all'asilo nido e alle scuole dell'infanzia a meno di adempimento delle vaccinazioni. L'esonero è previsto "ove sussista un accertato pericolo per la salute dell'individuo".

Nel 2007 la Regione Veneto sospese l'obbligo vaccinale proponendo tutte le vaccinazioni come raccomandate o consigliate.[70] Il 15 luglio 2017, a seguito dell'approvazione del decreto-legge n.73 del 7 giugno 2017 (poi convertito in legge), il governatore della Regione Veneto Luca Zaia annunciò il ricorso alla Corte Costituzionale per presunta incostituzionalità del provvedimento, ricorso bocciato dalla consulta a novembre 2017. La sentenza affermò che il decreto fosse giustificato dal calo delle vaccinazioni, e quindi volto a tutelare la salute individuale e collettiva e fondato sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie.

L'aumento della copertura vaccinale, al 2020, ha riportato un crollo dei casi di morbillo e rosolia: da aprile a fine ottobre 2020 non è stato segnalato all’ISS alcun caso.

La legge n. 210/1992[74] introdusse per la prima volta in Italia il diritto al risarcimento da danno vaccinale e i relativi requisiti di accesso.




Vaccino

Termine che in origine designava sia il vaiolo dei bovini (o vaiolo vaccino), sia il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino (pus vaccinico o vaccino), impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano. Oggi indica varie preparazioni (per uso parenterale o anche orale) rivolte a indurre, da parte dell’organismo, la produzione di anticorpi protettivi e a consolidare la risposta immunitaria a livello cellulare (v. immunitario), conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva (virale, batterica, protozoaria). Accanto ai vaccini per così dire classici, ottenuti da sospensioni di microrganismi patogeni (uccisi o vivi ma attenuati) o da immunogeni purificati (anatossine e polisaccaridi batterici), sono stati recentemente preparati vaccini sintetici, costituiti da catene peptidiche con specifica attività antigenica ottenute in laboratorio e inserite in una proteina di trasporto (che imprime al prodotto un potere immunogeno); la progettazione dei vaccini sintetici mira a evitare gli inconvenienti che si lamentano con i vaccini naturali, ad ampliare il ventaglio dei trattamenti profilattici (ed eventualmente terapeutici) e a ridurre i costi di produzione (v. anche vaccinazione). I vaccini si dicono mono-bi-tri- e polivalenti secondo che siano rivolti, nell’ordine, a prevenire una specifica malattia infettiva (o, talora, parassitaria), oppure due, tre o più affezioni, inducendo una condizione di immunità attiva.

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